COS’È UNA DIETA CHETOGENICA
Nei precedenti articoli della serie abbiamo introdotto tutti gli strumenti necessari a comprendere gli aspetti peculiari di una dieta chetogenica, che possiamo superficialmente definire come
Una dieta chetogenica limita l’assunzione di carboidrati a meno di 25-50 grammi al giorno, con l’obiettivo di indurre i tessuti che ne sono in grado ad utilizzare grassi e chetoni come carburante privilegiato; tendenzialmente durante una dieta chetogenica si raccomanda un apporto calorico che derivi da (tra parentesi il valore suggerito dalle linee guida per una sana alimentazione a titolo di confronto)
5% (45-60%) carboidrati
20% (10-12%) proteine
75% (20-35%) grassi.
In alcuni casi si perseguono regimi meno aggressivi in termini di rapporto grassi/proteine, ad esempio 60%-35%, ma il comune denominatore è sempre per definizione un apporto di carboidrati tanto ridotto da costringere l’organismo ad entrare in uno stato di chetosi fisiologica.
Rispetto ad altre diete molto note di questo periodo (Paleo, Dukan, …), la dieta chetogenica si distingue spesso per un contenuto di grassi eccezionalmente alto, che può raggiungere anche il 70%-80%, con solo un moderato apporto di proteine, semplicemente perché un eccesso di proteine può rendere più complicato entrare in chetosi, in quanto alcuni aminoacidi possono essere convertiti in glucosio.
A scanso di equivoci è bene chiarire che una dieta chetogenica prevede necessariamente l’entrata in chetosi, quindi NON è sinonimo di:
dieta iperproteica
dieta low-carb (di cui ne rappresenta invece una tipologia estrema).
QUALI ALIMENTI SONO PERMESSI?
Per ottenere e mantenere uno stato di chetosi è opportuno optare per alimenti estremamente poveri di carboidrati e ricchi di grassi, macronutriente a cui viene dato particolare risalto; in questo senso via libera quindi a
alcune forme di grassi animali (strutto, burro, formaggi stagionati, yogurt greco, …)
la maggior parte degli oli vegetali (oliva, palma, cocco),
alimenti grassi in genere, come avocado, frutta secca a guscio (noci, noci di macadamia, mandorle, noci pecan)
semi (girasole, zucca, sesamo, canapa, lino)
Le proteine rimangono moderate; idealmente sarebbe opportuno optare per tagli di manzo possibilmente nutrito a fieno (e non a cereali) e pollame ruspante, entrambe condizioni di allevamento che garantiscono quantità superiori di grassi omega-3 (oltre ad un maggior benessere animale); poi ovviamente libertà verso altre carni (ad esempio maiale, cavallo, … ma spesso non si dà il giusto peso alle frattaglie) e sicuramente il pesce, possibilmente selvatico, uova e tofu, un derivato della soia.
La maggior parte delle verdure non amidacee sono incluse, come ad esempio verdure a foglia (cavolo, bietole, cavolo cappuccio, spinaci, cavolo cinese, lattuga), altre brassicacee come cavolfiori, broccoli, cavolini di Bruxelles, e poi asparagi, peperoni, cipolle, aglio, funghi, cetrioli, sedano e zucchini. Serve limitare carote e pomodori, che portano con sé una quota di carboidrati bassa in assoluto, ma non trascurabile.
Relativamente alla frutta vengono permesse piccole porzioni di frutti di bosco, mentre altri frutti non particolarmente ricchi di carboidrati possono essere inseriti in piccolissime quantità e con l’attenzione costante a non superare il limite giornaliero consentito (pesca, anguria, …).
Nessun problema con il cacao amaro, ma che sia almeno al 90%, e poi certamente bevande come caffè e tè non zuccherati.
È piuttosto comune trovare oggi in commercio preparazioni industriali messe a punto per consentirne il consumo in diete low-carb o addirittura chetogeniche, ma purtroppo in molti casi si tratta di alimenti ultra-trasformati ricchi di additivi che invece andrebbero limitati in una più ampia ottica di promozione della salute.
QUALI ALIMENTI SONO VIETATI?
Sono esclusi dalla dieta tutti i cibi che rappresentino una fonte sostanziale di carboidrati, ad esempio:
Tutti i cereali, a prescindere dal fatto che siano integrali o raffinati, ivi compresi i farinacei in genere e tutti gli alimenti con zuccheri (aggiunti e naturali);
Legumi, comprese le arachidi che sì, sono legumi;
Verdure amidacee come patate, mais e zucche invernali;
Frutta, salvo eccezioni viste prima o quantità davvero moderate (quanto ha senso mangiare una fetta di mela?).
Sebbene alcuni programmi consentano il consumo di piccole quantità di superalcolici o vini e birre a basso contenuto di carboidrati, nella maggior parte dei casi sono fortemente limitati. Sicuramente esclusi cocktail che contengano fonti di zucchero, che siano sciroppi o bibite energetiche.
I latticini si valutano caso per caso, tenendo conto che alcuni di essi possono essere fonti significative di carboidrati (in forma di lattosio), come ad esempio gelato e latte intero.
UTILIZZO DELLA DIETA CHETOGENICA A SCOPO MEDICO
Le diete chetogeniche vennero introdotte negli anni ’20 del secolo scorso come tentativo di cura per il diabete, prima della scoperta dell’insulina, che se ci pensi è almeno in parte ragionevole, abbattere l’apporto di carboidrati alimentari per ridurre la quantità di zucchero in circolo (glicemia). Le evidenze di efficacia sono buone, tanto che alcuni endocrinologi ricorrono ancora oggi a questo approccio (anche in caso di pre-diabete), sebbene siano stati usati con successo anche altri regimi meno restrittivi e più focalizzati alla scelta dei carboidrati (escludendo quelli semplici e quelli raffinati) più che eliminarli, ovviamente nel contesto di una dieta sana (povera di grassi animali) e tipicamente ipocalorica (ovvero mirata anche alla perdita di peso).
Più sorprendente è invece la prescrizione di questa dieta per il trattamento di forme di epilessia infantile che non rispondano ai tradizionali farmaci, un approccio in certi casi usato ancora oggi da medici di grande reputazione e spessore, come gli specialisti delle cliniche John Hokpins.
Al di là di questi due approcci specialistici, l’obiettivo più spesso perseguito è invece ovviamente il dimagrimento in senso lato, ma ne parleremo più approfonditamente a breve, mentre sono in corso sperimentazioni volte a sondarne l’efficacia su altre condizioni, come tumori, demenza e morbo di Parkinson, ma per ora non disponiamo di conclusioni definitive.
CON LA DIETA CHETOGENICA SI PERDE PESO?
L’unico aspetto su cui tutti i ricercatori concordano, sulla base della letteratura disponibile, è proprio il dimagrimento; con la dieta chetogenica si perde peso e lo si perde velocemente, più velocemente di altri approcci, ma è importante ricordare che la differenza si limita al breve termine, perché invece sul lungo periodo non si rilevano vantaggi in termini di “quanto peso si perde” rispetto ad altri regimi dietetici, anche più equilibrati.
Uno dei vantaggi principali consiste inoltre in una naturale riduzione dell’appetito, in parte grazie all’effetto saziante di lunga durata di grassi/proteine ed in parte anche per la limitazione degli alimenti disponibili, che rende per questo meno vivace ed interessante il momento del pasto, nonostante in alcuni pazienti non venga addirittura imposto alcun limite calorico (nel contesto degli alimenti permessi, si può mangiare quanto si vuole).
Vale la pena notare, e lo fa come sempre in modo puntuale Biasci sul suo libro Project Nutrition, che in realtà quando andiamo a confrontare una dieta chetogenica con una più equilibrata, a parità di calorie, la perdita di peso è paragonabile, fatta salva la quota di liquidi che viene persa nei primi giorni; a cambiare sembra quindi essere la facilità con cui molti soggetti riescono a perdere peso con questo approccio, probabilmente a fattori quali:
riduzione dell’efficienza energetica (i corpi chetonici consentono di recuperare solo una parte dell’energia accumulata nei grassi), ma soprattutto
aumentato senso di sazietà,
riduzione spontanea dell’introito calorico, per effetto della severa limitazione nella scelta degli alimenti,
grande incentivo psicologico legato alla rapida perdita dei primi chili, legati tuttavia ai liquidi.
QUANTO DEVE DURARE LA DIETA CHETOGENICA?
Secondo la quasi totalità degli autori l’approccio chetogenico va inteso come regime alimentare limitato nel tempo; come abbiamo scritto nel precedente articolo sulla chetosi un arco temporale inferiore alle 3 settimane non consente nemmeno l’instaurarsi di un completo adattamento, ma in genere non si va oltre qualche mese, ovvero quelli necessari a raggiungere gli obiettivi di peso prefissati.
In altre parole, per la maggior parte dei casi la dieta chetogenica non è ritenuta adatta a diventare un modello alimentare a lungo termine, ma solo uno degli strumenti a nostra disposizione per perdere peso.
SVANTAGGI
In alimentazione sono pochi, ammesso che ci siano, gli argomenti più divisivi della dieta chetogenica; prendendo in considerazione le più prestigiose società scientifiche internazionali (ad esempio la MayoClinic e Harvard) e le indicazioni nazionali non individuano in questo approccio una reale opportunità, se non per specifiche nicchie di popolazione.
È pericolosa? Sicuramente no sul breve termine, non lo sappiamo con certezza sul lungo termine, ma d’altra parte non sembra essere la scelta ideale da adottare come stile di vita, come regime alimentare da mantenere nel tempo, non fosse altro che per il fatto che obbliga ad escludere alimenti su cui disponiamo di tonnellate di letteratura a supporto di un effetto protettivo verso numerose patologie, come frutta e legumi. Sempre collegato all’essere di per sé una dieta ad esclusione espone al rischio di carenze di micronutrienti, tanto da poter richiedere in alcuni casi integrazioni vitaminico-minerali.
Ricordiamo infine che è una dieta che non permette sgarri, a differenza di diete equilibrate in cui non esiste il concetto di sgarro se questo è previsto e compensato; questo può avere ricadute psicologiche e sociali.
Può essere ancora più complicata per i vegetariani/vegani, limitati al tofu e a poco altro per garantirsi un corretto apporto proteico.
RISCHI ED EFFETTI INDESIDERATI
Gli effetti a breve termine (fino a 2 anni) della dieta chetogenica sono ben conosciuti e documentati, mentre per quanto riguarda le implicazioni sulla salute a lungo termine la letteratura è purtroppo ancora molto limitata.
Di per sé lo stato di chetosi nutrizionale è considerato ragionevolmente sicuro, non solo perché i corpi chetonici sono prodotti in piccole concentrazioni senza alterazioni del pH sanguigno, ma perché a differenza della temibile chetoacidosi diabetica, una possibile complicazione del diabete di tipo 1 e solo raramente del tipo 2, l’organismo non perde mail controllo della produzione dei chetoni, che quindi non potranno superare la soglia critica responsabile di alterazioni potenzialmente anche fatali.
- disidratazione
curiosamente ipoproteinemia, ovvero carenza di proteine, come conseguenza della gluconeogenesi a seguito di restrizione dei carboidrati quando ottenuta con un insufficiente apporto proteico),
alterazioni del microbiota intestinale verso un ambiente putrefattivo,
e carenza di vitamine.
Sul breve termine è tuttavia piuttosto comune sperimentare un facile affaticamento durante l’esercizio fisico (e quindi un peggioramento delle prestazioni nel caso degli atleti), ridotta energia mentale, aumento della fame, disturbi del sonno, crampi muscolari, stitichezza, alitosi, nausea e mal di stomaco; si tratta tuttavia di disturbi destinati ad essere in genere superati dopo i primi giorni di adattamento, con l’eccezione della prestazione sportiva ad alti livelli, che secondo la maggior parte degli autori non può essere ottimale in assenza di un adeguato apporto di carboidrati, pur rilevando gli aspetti positivi in termini di miglioramento della capacità di utilizzo dei grassi, ad esempio negli sport di endurance.
Più in generale vanno tuttavia rilevati due aspetti:
sono pochissimi ad oggi gli atleti ad altissimo livello che optano per questo regime sul lungo periodo,
ma d’altra parte la letteratura è ad oggi non conclusiva, anche a causa della difficoltà legata a tenere in considerazione l’influenza di aspetti quali perdita di peso, genetica, …
In termini sportivi se ci pensi il razionale è anche sensato: seguendo una dieta equilibrata, con un normale apporto di carboidrati, un atleta tipo potrebbe accumulare circa 2.500 calorie di glucosio, ma fino a 40.000 calorie di grasso senza per questo essere in sovrappeso. L’idea è che passando ad una dieta ricca di grassi il corpo si adatterà di conseguenza, capacità ambita da atleti in discipline particolari come triatlon ed ultramaratone, ad esempio, tuttavia la fisiologia dei muscoli ci dice che in realtà il glucosio potrebbe comunque garantire un’efficienza superiore. Il dibattito è comunque ancora aperto, senza dimenticare possibili differenze individuali.
Tornando a noi poveri mortali, un elevato consumo di acqua può essere d’aiuto per prevenire la disidratazione, dovuta alla perdita di liquidi necessaria tra l’altro allo smaltimento dei chetoni in eccesso, e migliorare così anche alcuni dei sintomi più comuni, ma ancora più utile è programmare una settimana di avvicinamento alla chetosi, in cui iniziare a ridurre sensibilmente ma non drasticamente l’apporto di carboidrati per stimolare l’organismo ad un iniziale virata verso l’uso dei grassi.
A lungo termine una dieta in cui solo il 5% delle calorie totali proviene dai carboidrati rende particolarmente ostico, quando non impossibile, beneficiare dell’apporto di quantità ottimali di fitonutrienti antiossidanti da frutta e verdura; in questo senso va rilevata anche la necessità gioco-forza di ridurre l’apporto di fibra alimentare, che spiega il comune effetto collaterale di stitichezza, anch’essa fortemente correlata a benefici di salute sul lungo termine.
Concludiamo infine ricordando un aspetto facilmente prevedibile, la compliance a lungo termine è bassa, i pazienti si stufano abbastanza facilmente e probabilmente a causa dell’eccessive restrizioni necessarie; questo non è un grosso problema se il passaggio successivo consiste nell’acquisizione di una dieta sana, equilibrata e di uno stile di vita attivo, che consenta di mantenere il risultati raggiunti in termini di peso, ma è invece un grosso problema se ci si concede uno sgarro ogni 5 minuti, perché si vanifica istantaneamente lo stato di chetosi faticosamente raggiunto: concedersi una pizza, un piatto di pasta, una fetta di torta significa uscire dallo stato di chetosi e recuperare rapidamente anche una rilevante quota di liquidi, che possono pesare tanto sulla bilancia quanto sul morale se il paziente non è consapevole del meccanismo.
CONTROINDICAZIONI
La dieta chetogenica è controindicata nei pazienti con pancreatite, insufficienza epatica e disturbi rari che coinvolgano ad esempio un’alterazione del metabolismo dei grassi.
Si raccomanda grande cautela nei soggetti con evidenti fattori di rischio cardiovascolare, che più di altri dovrebbero affrontare il passaggio ad una dieta chetogenica previo parere medico e con un’attenta valutazione del tipo di grassi/proteine da introdurre, privilegiando le fonti vegetali (il pesce viene spesso annoverato come eccezione), che è tuttavia resa ostica da fatto che le più importanti fonti vegetali proteiche (legumi) portano con sé una quantità di carboidrati non compatibili con lo stato di chetosi.
Si segnala infine che, soprattutto nelle prime 2 settimane di dieta, potrebbero verificarsi aumenti significativi della produzione di urina e rilascio dei liquidi accumulati che potrebbero richiedere un aggiustamento dei dosaggi dei farmaci per la pressione alta, insufficienza cardiaca e diabete; in questi pazienti è quindi assolutamente indispensabile che un approccio alla dieta chetogenica avvenga esclusivamente con la stretta supervisione di un medico di esperienza dietetica.
E proprio i pazienti diabetici di tipo 1, in minor misura quelli affetti di tipo 2 (più che altro in base al tipo di farmaci in uso) sono a rischio di ipoglicemia nelle prime settimana, quindi raccomando di fare senza dubbio riferimento ad un medico endocrinologo prima di buttarsi a capofitto in esperimenti chetogenici.
Una dieta chetogenica potrebbe infine essere controindicati in soggetti già particolarmente magri ed è fortemente sconsigliata, per il principio di cautela, nei bambini e nelle donne in gravidanza e allattamento.